Generalmente essere bilingui non si riduce esclusivamente alla capacità di parlare due lingue, ma consiste nel possedere capacità verbali e comunicative nelle due lingue per esposizione ad esse (Contento, Melani e Rossi, 2010).
Se l’esposizione è precoce…
L’esposizione a due lingue fin dalla nascita o a partire da fasi precoci dello sviluppo (entro i 3 anni), non costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo del linguaggio. Al contrario si è osservato il fenomeno del “bootsrapping” ovvero una condivisione di conoscenze linguistico-concettuali tra le due lingue che permette ai bambini bilingui di non essere “indietro” del 50% rispetto ai monolingui pur ricevendo metà dell’esposizione in una delle due lingue.
Se l’esposizione è tardiva…
Il quadro si presenta più complesso quando l’acquisizione della seconda lingua (L2) è successiva ai tre anni. Patton Tabors (2008), pur tenendo conto della variabilità dovuta alle differenze interindividuali tra bambini, ha identificato quattro stadi di sviluppo della L2.
- I STADIO: i bambini sembrano utilizzare la L1, anche se nessuno all’interno dell’ambiente in cui si trovano utilizza e comprende la loro lingua. Questo periodo è molto breve.
- II STADIO: si osserva un periodo non verbale dove i bambini accumulano conoscenze recettive della L2, ma producono poche o nessuna parola della nuova lingua.
- III STADIO: “formulaic language” dove i bambini utilizzano espressioni convenzionali (es. non lo so, scusami, ecc.) o enunciati brevi e imitativi che gli permettono di iniziare a parlare la L2 e, allo stesso tempo, di dare l’impressione di conoscere la seconda lingua.
- IV STADIO: i bambini iniziano a costruire frasi originali utilizzando nomi, verbi e aggettivi.
Quando i bambini raggiungono il IV stadio iniziano ad utilizzare la seconda lingua in modo più efficace, ma non sono ancora assimilabili ai pari madrelingua. Infatti, possono pronunciare le parole in modo errato e compiere errori nella scelta delle parole o nella costruzione delle frasi.
Una domanda frequente rispetto a questi bimbi è “Quanto tempo serve affinché possano essere assimilabili ai compagni monolingui nella seconda lingua?”
È ampiamente condiviso che per quanto riguarda la fonologia i bambini bilingui necessitino fino a due anni di esposizione prima di essere assimilabili ai coetanei madrelingua (Paradis et al., 2011) e che rispetto allo sviluppo morfosintattico possano volerci dai tre ai cinque anni (Jia e Fuse, 2007; Paradis, 2008). Rispetto all’acquisizione del vocabolario, invece, le ricerche disponibili attestano che vi sia bisogno di molto tempo affinché i bambini L2 abbiano un vocabolario ampio e complesso quanto i bambini monolingui e che, talvolta, la distanza non si colmi mai (Oller e Eilers, 2002; Golberg, Paradis, Crago, 2008).
Nonostante l’accuratezza grammaticale, l’ampiezza del vocabolario e la pronuncia non siano equiparabili a quella dei pari parlanti nativi per diversi anni, questi bambini possono diventare buoni comunicatori anche dopo pochi mesi di esposizione alla L2. Diversamente, invece, sono necessari almeno 5-7 anni per padroneggiare quegli aspetti della lingua che risultano importanti per la scolarizzazione.
Essere bilingui: un vantaggio!
Essere bilingui è stato oramai ampiamente dimostrato che costituisce un vantaggio da un punto di vista cognitivo. Infatti numerosi studi hanno evidenziato una maggiore flessibilità cognitiva nei bilingui (Bialystock, 1999). Inoltre altre ricerche hanno osservato maggiori capacità dei bambini bilingui in compiti di problem solving e creatività (Kessler, Quinn, 1980; Lee, Kim, 2011). Il bilinguismo, quindi, parrebbe costituire un possibile fattore protettivo per lo sviluppo cognitivo e quindi è importante valorizzarlo anche incoraggiando il mantenimento della lingua madre (L1) fin dalla prima infanzia.
Nonostante ciò si assiste, parallelamente, ad un aumento delle richieste di cura di questi bambini per motivi legati a difficoltà linguistiche e d’apprendimento (Contento, 2010). Di fronte ad un bambino bilingue sono tanti i fattori da tenere in considerazione e non sempre le difficoltà che si osservano sono da considerarsi sintomo di difficoltà specifiche. Ad esempio davanti ad un bambino che ha terminato la II primaria ed è stato esposto all’italiano a partire dai 5 anni, elementi come una lettura lessicale fragile/deficitaria ed errori in scrittura, ascrivibili ad influenze fonetico-fonologiche della lingua madre, non vanno considerati campanelli d’allarme di difficoltà specifiche d’apprendimento quanto, piuttosto, funzionamenti in linea con la storia linguistica del bambino.
Le variabili da prendere in considerazione rispetto allo sviluppo linguistico e all’apprendimento scolastico dei bambini bilingui sono molteplici e tra esse alcune delle più importanti sono: l’età di prima esposizione alla L2, la quantità e qualità d’esposizione, l’intelligenza non verbale, la struttura della L1 e L2 e fattori emotivo-motivazionali.
Per non rischiare di preoccuparsi eccessivamente o, al contrario, di sottovalutare le difficoltà osservate è bene rivolgersi a professionisti che conoscano le traiettorie di sviluppo di questi bambini e che utilizzino un approccio dinamico che tenta di misurare il potenziale di apprendimento del bambino bilingue attraverso un metodo test-teach-retest riducendo, così, il rischio di sovra o sotto identificazione.
Paola Ferraresi – Psicologa Piccolo Principe Ferrara
Per ulteriori approfondimenti:
- Bonifacci, P. (2018) (a cura di). I bambini bilingui. Favorire gli apprendimenti nelle classi multiculturali. Roma Carocci Editore.
- Abdelilah-Bauer, B. (2017). Guida per genitori di bambini bilingui. Raffaello Cortina Editore.