Fra i disturbi dello sviluppo di cui ci occupiamo nel nostro Centro trova spazio anche la balbuzie, disturbo multifattoriale che, in quanto tale, richiede una presa in carico globale del bambino/ragazzo che la manifesta e del suo ambiente di vita.
La balbuzie fa parte dei disturbi della comunicazione (DSM V). Si manifesta in età prescolare (entro i 6 anni), tipicamente attorno ai 3 anni. La persona che balbetta sa esattamente ciò che vuole dire ma non è in grado di esprimerlo in modo fluente a causa del presentarsi di involontarie disfluenze (interruzioni nel normale fluire dell’eloquio). Tali disfluenze non sono “tipiche” (uso di “ehm”, “mmm”, riformulazione della frase) ma sono “atipiche” (blocchi, ripetizioni, prolungamenti), e sono accompagnate da tensione udibile o visibile (es. contrazioni della muscolatura facciale).
La balbuzie è un disturbo complesso, “vecchio” di migliaia di anni (“La balbuzie ha l’età dell’uomo…”*) ma in realtà ancora nuovo e sconosciuto per molti aspetti.
Di balbuzie si sente parlare spesso anche nel linguaggio comune, per descrivere una modalità comunicativa poco fluida, legata a momenti di forte emotività; essendo un termine utilizzato anche nel quotidiano per riferirsi ad un “modo di parlare” in determinate situazioni, è essenziale fare chiarezza su di esso in quanto, in realtà, fa riferimento ad un quadro patologico di forte impatto sulla persona che lo presenta.
Per fare ciò, riporteremo in questo breve articolo otto domande che nel corso della nostra esperienza con la balbuzie ci sono state rivolte da genitori, bambini, ragazzi, insegnanti, e… sette risposte basate sulle evidenze scientifiche più attuali in materia.
“Dalla balbuzie si può guarire?”
La prima domanda che ci viene rivolta riguarda spesso la prognosi della balbuzie. Per rispondere a questa domanda solitamente facciamo due riflessioni. Innanzitutto, il termine “guarigione” prevede la presenza di una “malattia”, e questo disturbo, come tutti i disturbi del neurosviluppo, non è una malattia bensì una condizione geneticamente determinata. Da questo primo punto deriva la seconda riflessione: la balbuzie è un disturbo a base genetica, una caratteristica che l’individuo presenta nel proprio corredo genetico, come ad esempio il colore degli occhi… Si può, dunque, “guarire” dagli occhi marroni?
“Se non si può guarire dalla balbuzie, perché lavorarci?”
Solitamente, dopo la prima domanda ci viene rivolta questa seconda domanda, assolutamente lecita. I motivi per cui è importante lavorare sulla balbuzie sono due: la presa in carico precoce in età prescolare favorisce la remissione del disturbo; la presa in carico in età scolare, quando per lo più tale disturbo si è strutturato in modo definitivo, è atta a migliorarne la sintomatologia e, ancor più importante, la visione della persona, favorendo il passaggio da “balbuziente” a “persona con balbuzie”.
“La balbuzie è provocata da un trauma psicologico?”
Questa domanda molto frequente trova risposta ancora una volta nella definizione di balbuzie. Essendo questo un disturbo geneticamente determinato, un qualsivoglia evento psicologico non può essere causa diretta di balbuzie. E’ altresì innegabile che l’emotività gioca un ruolo cruciale nel mantenimento della balbuzie e nella sua manifestazione in termini quantitativi (una persona che balbetta tende a farlo di più in situazioni di forte carico emotivo).
“Mio figlio balbetta ma è piccolo e non se ne rende conto… Ha senso iniziare un trattamento o esso può renderlo consapevole del problema e peggiorare la situazione?”
Non sempre la consapevolezza di balbettare comporta una verbalizzazione della difficoltà da parte del bambino o comportamenti di evitamento della comunicazione. In altre parole, non è detto che un bambino che non parla della propria balbuzie o che da essa non viene limitato non sia ancora consapevole. E’, invece, dimostrato che un intervento precoce favorisce un miglioramento della prognosi.
“A scuola mio figlio potrà essere aiutato?”
La scuola è uno degli ambienti di vita fondamentali per i bambini/ragazzi: per questo motivo, anche la scuola deve essere inclusa nel progetto riabilitativo dei ragazzi con balbuzie, attraverso incontri di counseling che forniscano agli insegnanti nozioni generali sull’argomento, informazioni specifiche sui piccoli pazienti e strategie per sostenerli nella loro espressione comunicativa.
“Mio figlio in età prescolare balbetta… Continuerà a balbettare una volta cresciuto?”
A questa domanda non è possibile fornire una risposta definitiva: non possiamo prevedere con certezza l’evoluzione della balbuzie; tuttavia, esistono dei fattori di rischio che possono aiutarci nell’ipotizzare il rischio di cronicizzazione (ovvero di mantenimento della balbuzie nel tempo). Inoltre, una elevata percentuale di bambini che balbettano in età prescolare presenta un recupero spontaneo entro i 6 anni: anche in questo caso, sono i fattori di rischio ad esserci d’aiuto nel cercare di individuare chi è maggiormente a rischio di mantenere la balbuzie (ed è quindi un buon candidato per un intervento diretto) e chi, invece, può essere monitorato nel tempo.
“La balbuzie viene trattata solo dal logopedista?”
La balbuzie, come detto in precedenza, è un disturbo multifattoriale, che chiama in causa diversi piani (linguistico, motorio, emotivo, sociale, cognitivo, affettivo secondo il modello “CALMS” di Charles Healey): la presa in carico di un disturbo così complesso coinvolge necessariamente un’equipe multidisciplinare.
“Quali sono in pratica le cose che posso fare con mio figlio?”
Questa è l’ultima domanda a cui… non diamo risposta in questo articolo!
Ogni bambino è a sé, ogni persona con balbuzie è a sé perché in essa le componenti del modello citato in precedenza si armonizzano in modo unico. Questo fa sì che il percorso di ogni singolo paziente debba essere costruito ad hoc impegnando attivamente il bambino/ragazzo, la famiglia, i terapisti, la scuola e tutti i contesti di vita del paziente, per determinare un miglioramento non solo del sintomo-balbuzie ma anche del vissuto-balbuzie.
Arianna Bortoluzzi, logopedista Piccolo Principe
BIBLIOGRAFIA
Florio, P., Bernardini, S. (2014). Balbuzie: assessment e trattamento: Modelli di intervento cognitivo in ottica ICF. Erickson
Pertijs, M.A.J., Oonk, L.C., Beer, de J.J.A., Bunschoten, E.M., Bast, E.J.E.G., Ormondt, van J., Rosenbrand, C.J.G.M., Bezemer, M., Wijngaarden, van L.J., Kalter, E.J., Veenendaal, van H. (2014). Clinical Guideline Stuttering in Children, Adolescents and Adults. NVLF, Woerden
Tomaiuoli, D. (2015). Balbuzie: Fondamenti, valutazione e trattamento dall’infanzia all’età adulta. Erickson
*Martina De Meis, in Tomaiuoli, 2015